Pagati poco, pochissimo, sfruttati e costretti a convivere con situazioni di precarietà pressoché infinita. Senza tutele e senza poter contare sugli ammortizzatori sociali, ai quali non hanno accesso. C’è un esercito intero, nell’Italia del 2020, che si muove nell’ombra, costretto a fare i conti con uno stipendio da fame: 4 euro l’ora, quelli che finiscono in tasca di tanti camerieri, operatori di call center, stagionali del turismo, operatori nel settore della sanità e della cultura, assistenti in cucina. Persone che già prima della pandemia facevano fatica ad arrivare alla fine del mese e che ora, con l’emergenza in corso, hanno visto addirittura peggiorare la propria situazione, costretti ad accettare qualsiasi lavoro pur di avere qualche forma di entrata.
Un racconto che arriva, sempre uguale, da tutta Italia. Dalla capitale, innanzitutto. E dal sud, dove l’ultimo caso segnalato è quello di un call center a Crispiano, in provincia di Taranto in Puglia, dove sotto le saracinesche sempre abbassate si nascondevano una ventina di lavoratori costretti a lunghi turni a fronte di una paga di 4 euro lordi l’ora, cifra inferiore di 3,50 euro rispetto al contratto nazionale. La denuncia è arriva dalla Slc Cgil e il caso ha avuto grande eco mediatica anche perché il committente dei servizi era il colosso della comunicazione Tim.
Nel denunciare l’accaduto, Slc Cgil aggiungeva: “Ci chiediamo, poi, quale possa essere il rispetto delle misure di sicurezza, dato che in questo si accede da una saracinesca, e, poiché non si lavora in smartworking, quale sia il rispetto delle misure anticovid visto che come organizzazione sindacale non siamo stati coinvolti nella costituzione di comitato previsto dal protocollo per le misure anti contagio del 24 aprile 2020”. Un caso, purtroppo, non isolato. Sono ben 4 milioni le persone, in Italia, costrette a fare i conti con uno stipendio da fame. Un esercito del quale fanno parte anche 12 mila operatori sanitari che hanno affrontato in prima linea l’emergenza Covid-19 senza però veder cambiare la propria posizione.
Una vergogna che è anche uno schiaffo in faccia alle nuove generazioni. Quelle che dovrebbero lanciarsi con entusiasmo nel mondo del lavoro e che finiscono per scoraggiarsi facilmente di fronte alle prospettive di una schiavitù legalizzata. Qualcuno, a malincuore, accetta. Altri rinunciano e restano a casa: per l’Istat ci sono 746mila persone che dopo delle esperienze lavorative infelici hanno smesso del tutto di guardarsi intorno, rinunciando alla caccia di una nuova occupazione. Uno scenario desolante di fronte al quale il silenzio delle istituzioni fa rabbia, e parecchia.